domenica 6 febbraio 2011

PRIMAVERA


A Santa Maria della Vittoria c’è la cosa che più mi emoziona qui a Roma, l’Estasi di Santa Teresa. Quando entro in chiesa non c’è mai molta gente, ci vado sempre di pomeriggio verso l’ora di chiusura, anche se di giorno, con la luce che trapassa i vetri gialli, è tutto molto più suggestivo. Ma a quell’ora c’è un silenzio assoluto, quasi ultraterreno, che, insieme all’odore dell’incenso e all’eco dei passi sul pavimento, mi danno la sensazione di trovarmi completamente separata dal resto del mondo.
Guardo Santa Teresa con gli occhi di marmo rivolti all’alto, adagiata sulla nuvola, innalzata verso il cielo, e l’angelo pronto a trafiggerla con il dardo dorato mentre le scosta le vesti. Ha un che di passionale, di sensuale, di terreno, mi dico ogni volta, più che di divino. E’ meravigliosa. Sono meravigliose le vesti del cherubino, come avviluppate nel vortice del vento, e quelle di Santa Teresa, che paiono vere, drappeggiate sul suo corpo abbandonato alla visione. Una volta ho letto un passo delle sue memorie in cui diceva: “Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata”.
Mi stupisco, la ricordo a memoria. Mi chiedo sempre cosa sta provando, nell’estasi, la santa, se la freccia, colpendola, ha avuto lo stesso effetto che ha avuto su di me. E piango.
Voglio tanto liberarmi di questo peso che sento sul petto, sullo stomaco, ma quando sono tra la gente non ci riesco. Invece qui, davanti a tanta bellezza, finalmente le emozioni affiorano, prepotenti. Solo qui mi faccio salire le lacrime agli occhi senza fermarle, copiose, senza porre freni, forse perché so che se qualcuno mi vedesse piangere non se ne meraviglierebbe, ma la crederebbe una logica e inevitabile conseguenza della bellezza dell’opera d’arte davanti alla quale mi trovo. Niente ha su di me un effetto simile, soprattutto in questo momento.
Ho paura di me, della mia debolezza, della mia fragilità, della voglia che ho di un uomo che non posso avere e adesso è nell’altro emisfero del mio mondo, un angelo bello oltre ogni misura, come quello della scultura; ho paura di perdere le persone che, come Marta, mi sono vicine e mi sono indispensabili come l’aria che respiro e sono parte della mia vita; ho paura dei miei rapporti instabili e precari con le persone, delle mie mille paure, soprattutto quella di restare sola. Rimango con il sale delle mie stesse lacrime sulle labbra. Lo assaggio.
Negli ultimi anni sono venuta qui un numero infinito di volte, senza che nessuno lo sapesse, ho ritrovato lo stesso desiderio di rifugiarmi di quando ero bambina; entrando non mi sono mai fatta il segno della croce, non mi sono mai inumidita le dita nell’acquasantiera, come ero invece solita fare anni fa, non mi sono mai inginocchiata nel saluto dei fedeli, ma uscendo ho sempre sentito che dentro di me era cambiato qualcosa, che la tempesta era passata e che ero pronta a riemergere, a rinascere, e questo non so a cosa attribuirlo. Anche ora, mentre esco, sono certa che i giorni ed i mesi passeranno, questa stagione così difficile passerà, ma io sarò sempre in grado di rialzarmi, nonostante le ammaccature e i lividi che mi segnano. Mi sento un po’ più forte.

Un pezzo che mi fa viaggiare...

Il faro alla fine del mondo

Ora non mi vede nessuno, posso lasciarmi andare. E allora piango. Piango perchè sono triste di lasciare tutto questo splendore, ma soprattutto piango perchè sono felice. E' uno stato d'animo contraddittorio, ma è così bello che penso che non vorrei mai scendere dalla moto, non vorrei sentire la voce sua nè di nessun altro ma solo vivere quest'istante, illuminato da una mezzaluna bellissima e limpida. Percorriamo in moto la sola strada asfaltata dell'isola, perchè questo posto è così,attraversato da un'unica direttrice, dalla quale si diramano, come le spine di un pesce, altri viottoli sterrati che portano al mare, sentieri che costeggiano la salina o che attraversano tratti coperti da una vegetazione scarna, fatta di cespugli secchi e spinosi, di rovi polverosi e che infine si allargano tutti verso spiagge magnifiche



(..............)



Arriviamo a destinazione (...). Conosco questo posto (...), si tratta di un faro all'estremità dell'isola. Qualcuno lo chiama "il faro alla fine del mondo"...



DA "E' SUCCESSO IN PARADISO"

G. VIAZZI

Oggi ricomincio

Oggi riprendo a scrivere. Ogni volta che decido di rimettermi al pc e buttare giù i miei pensieri è una nascita, un altro battesimo. Nasce qualcosa di speciale, ma significa anche che sono in bilico e che ho bisogno di sfogarmi con qualcuno che non risponda e non giudichi. Scrivere per me è come quando da bambino cadi, sbucciandoti le ginocchia, e devi rialzarti mentre i tuoi genitori ti dicono che puoi farcela, che non hai bisogno del loro aiuto e che devi tirarti su.
Quando sei grande è molto molto più difficile, ma senti ancora dentro quella vocina: "Dai, puoi farcela, anche se sei ammaccato". Scrivere per me è la risposta a chi mi ignora, a chi mi fa soffrire, a chi non capisce che anch'io sono speciale. E' la risposta a chi non sa che, facendomi del male, non fa altro che regalarmi qualcosa di speciale...